October Rust, il mio rifugio.

October Rust type 0 negative album cover

Esistono dischi rifugio e la musica può salvarti la vita. Molti penseranno che queste siano affermazioni esagerate, senza senso, ma io ci credo davvero e ne sono testimone. Oggi infatti vi parlerò di un vero gioiello, unico e irripetibile, che nel periodo peggiore della mia esistenza ha saputo consolarmi, proteggermi e addirittura ascoltarmi.

October Rust dei Type O Negative per me non è soltanto un disco, un mero oggetto di culto di cui prendersi cura…per me è un pezzo di vita che avrà sempre un posto speciale nel mio cuore. L’originalità del suono della band di Brooklyn non la scopriamo certo adesso e ha sempre impedito qualunque tipo di catalogazione. Le radici di quel suono così particolare affondavano nel rock degli anni ’70, ma con una visione decadente e gotica rivolta al futuro.

Come già detto, il disco vide la luce nell’anno più buio della mia vita, il ’96, e arrivava a tre anni di distanza dal successo di “Bloody Kisses”, capace di raggiungere il disco di platino negli Stati Uniti. Questo capolavoro però fu una virata decisa verso territori crepuscolari e autunnali, un viaggio attraverso foreste rigogliose e melodie impensabili fino a quel momento.

Mi ero avvicinato ai Type con una certa diffidenza, dopo aver visto un loro concerto in tv. Non mi avevano colpito subito, l’audio li penalizzava parecchio e non ero riuscito a percepire tutte le sfumature del loro sound, ma quel gigante con la voce così cavernosa e quel suono stratificato ed evocativo mi aveva spinto ad approfondire.

Comprai il cd al secondo piano del negozio di dischi più importante di Livorno (sembra un’epoca così lontana…un negozio di dischi con due piani quando ormai ne sono rimasti pochissimi). La copertina era semplice ma perfetta, gambi verdi di rosa coperti di spine in campo nero, metafora dell’amore che non può esistere senza il dolore e il sangue.

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Decisi di ascoltarlo in cuffia, mentre pioveva e le nuvole erano fuori e dentro di me. Il disco si apre nel modo più assurdo che potessi immaginare, dilaniandoti il cuore con un vero capolavoro, Love You To Death, a mio avviso una delle canzoni d’amore più malinconiche mai scritte.

Nella traccia Il piano riverberato di Josh Silver la fa da padrone e si intreccia al basso di Steele come sempre carico di effetto. Amore e morte, sentimenti puri e delusioni, l’inutile speranza fino al doloroso addio (Ora chiudi quegli occhi e lascia che ti ami fino alla morte, devo dimostrare quello che sto dicendo, supplicandoti, ti sto dicendo che la bestia dentro di me ti prenderà, ti prenderà…).

Ogni volta che la vivo i brividi sono sempre gli stessi. La voce di Pete era assurda, un giorno qualcuno scrisse che avrebbe fatto appassire un fiore, ed era così, cupa, intima, poco terrena. In Be My Druidess si è ancora scossi dall’emozione del brano precedente ma si affronta nuovamente il tema dell’amore, della passione carnale, del rimpianto (Urla il mio nome e stringimi forte, farò di tutto per farti venire).

I suoni delicati, mai violenti, fanno da apripista all’acustica Green man, l’episodio più leggero che trasuda di amore verso la natura e il verde, colore predominante dell’album. Red Water è un’altra perla inarrivabile, intrisa di malinconia e paesaggi freddi come il ghiaccio e la neve che scende copiosa a piegare gli alberi. Il testo è delirante, un inno alla decadenza (Svegliati, è il lutto di Natale, gli amati se ne sono andati da tempo, le calze sono appese ma chi se ne frega, vedo i fantasmi, acqua rossa).

La successiva My Girlfriend’s Girlfriend è il singolo per antonomasia, uno dei pezzi più famosi della formazione e anche l’unico veramente mainstream dell’album. Un grandissimo brano comunque, sensuale, proibito, da girone dei lussuriosi, e senza ombra di dubbio uno dei più amati dai fans che lo aspettavano sempre con trepidazione durante i live. Il gioiello proseguiva con la suadente Die With Me, e il tema del distacco torna prepotente a farsi largo tra le note avvolgenti del brano (Ora come un uccello è volata via per inseguire i suoi sogni…ancora mia manca).

Burnt Flowers Fallen è la conferma di quanto l’amore sia destinato a decadere, a bruciare come i fiori che si regalano a una donna durante una relazione. Bellissimo il finale cadenzato e struggente. In Praise Of Bacchus i loop di tastiere si intrecciano ai cori riverberati e alla voce di Pete sempre in grande spolvero che canta frasi assurde ma perfette per trascinarti in quell’atmosfera malinconica (I lampioni illuminano una vecchia strada bagnata di uncino rosso, uno schiavo peloso tinto di vino, ponte di brooklyn dipinto ad olio fuso, tomba di ciottoli). L’altra traccia più easy è la cover di Cinnamon Girl del grande Neil Young, rivisitata in chiave Type O Negative ma senza oltraggiarla.

Dopo la sconclusionata The Glorious (della quale avrei fatto tranquillamente a meno) si entra in un territorio che profuma di muschio e mito. Il monumento sonoro mi arrivò addosso con tutta la sua forza e sono quasi emozionato a parlarne. Wolf Moon(Including Zoanthropic Paranoia) è un brano leggendario, maestoso, un vero must per chi ama questo genere. Nei sei minuti abbondanti di godimento puro Josh Silver dà il meglio di sé con arrangiamenti e suoni che ipnotizzano l’ascoltatore ad ogni passaggio, mentre Pete decide che la sua voce deve scendere ancora, fino alle viscere delle terra.

Non posso descrivere l’emozione che provai al primo ascolto, uno dei brani della mia vita, il mio rifugio da sempre (il 28° giorno sanguinerà di nuovo, come fanno i lupi, allieveremo il dolore, un’ultima benedizione di sangue). Il capolavoro dei Type si chiude con Haunted, un manifesto doom, lento, pesante, dove non si intravede la luce e non si percepisce alcuna speranza (Della fossa appena scavata e della morte e della notte, queste cose sono la sua essenza, amante notturna, amante dello spirito, odio il mattino, la luce).

Non è mai stato facile riprendersi dall’ascolto di October Rust e sono certo che non tutti avranno provato le mie stesse emozioni, come è giusto che sia. Ma una cosa la posso dire a conclusione di questo racconto, la ferita per la scomparsa di Peter Steele non si è ancora rimarginata e ha lasciato un vuoto incolmabile, ma lui vivrà per sempre tra la bruma e gli alberi umidi di quest’opera immensa.

Alessio Santacroce

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